Che la stampa 3D stia diventando un supporto essenziale nei più svariati settori produttivi è cosa nota. Le nostre modeste esperienze ci hanno portato ad utilizzarla soprattutto nella realizzazione di repliche di oggetti, nella produzione di piccole serie e nella materializzazione di modelli architettonici, urbanistici e territoriali. Le prospettive future riguardo i suoi usi più estremi, però, sono quelle che affascinano di più. Abbiamo già parlato più volte di tentativi di utilizzo della stampa 3D nell’edificazione di unità abitative.
La stampa 3D e la conservazione dei beni culturali
Un po’ meno note sono le possibilità della stampa 3D, combinate con quelle della scansione tridimensionale, nel settore della conservazione dei beni culturali. In questo caso un modello ben definito e stampato con macchine in grado di estrudere argilla o impasti con inserti lapidei può essere di aiuto in diverse situazioni. Vediamo qualche esempio.
Replica di una manufatto per il suo studio
Supponiamo di avere la necessità di studiare un dettaglio decorativo, un capitello, una statua o un altro elemento plastico. Supponiamo che l’originale sia inamovibile per collocazione, peso o fragilità. Partendo da un modello tridimensionale, è possibile la creazione di molteplici copie fedeli all’opera oggetto di studio che permettono di conoscerla nel dettaglio senza doverla maneggiare. Questo utilizzo della stampa 3D potrebbe, ad esempio, essere utile per gli utenti degli istituti d’arte, per la pianificazione di complessi interventi di recupero dei beni culturali o, perché no, per la simulazione di azioni necessarie ma potenzialmente pericolose per l’oggetto.
Sostituzione di un manufatto per la sua conservazione
Supponiamo, invece, che un’opera di particolare pregio si trovi in pericolo perché esposta a fenomeni di deterioramento per cause naturali o incuria. La produzione di una copia esatta può consentire il collocamento del pregiato originale in un ambiente protetto e la sua sostituzione con una replica. Pensiamo, ad esempio, ad una statua la cui presenza caratterizzi fortemente uno spazio urbano, ma che sia esposta a un deterioramento tale da comprometterne la conservazione. Il suo collocamento in un ambiente protetto sarebbe fondamentale per mantenere l’opera. Al tempo stesso, però, rimuoverla senza sostituirla altererebbe lo stato dei luoghi. La collocazione di una copia identica può consentire di salvare opera e vista.
Problemi più complessi
Fino a qui, in fondo, niente di nuovo. I casi precedenti si sono sempre verificati e sono sempre stati affrontati procedendo manualmente a repliche degli originali. Pensiamo alle collezioni di copie d’arte in uso nelle accademie o, caso noto, alla collocazione del David nella Galleria dell’Accademia e alla sua copia in piazza della Signoria. La scansione e la stampa 3D avrebbero, quindi, la possibilità di velocizzare la replica dei beni culturali, migliorandone probabilmente la qualità. Le copie, infatti, riprodurrebbero anche i difetti, le scalfitture e i segni lasciati sull’originale.
Ci possono essere, però, casi e problemi più complessi da affrontare.
Tutti ricordiamo cosa sia successo alla cattedrale di Notre-Dame tra il 15 e il 16 aprile 2019. Fin da subito si è manifestata la volontà di reagire alla perdita generata dall’incendio. È stata annunciata l’intenzione di lanciare un concorso internazionale di architettura il cui obiettivo è quello di capire quale direzione seguire: ricostruire la guglia distrutta o progettarne una nuova in linea con le tecniche e i materiali moderni. Prima ancora dell’ufficialità del concorso, ci sono state numerosissime proposte progettuali più o meno fantasiose.
Molti, naturalmente, caldeggiano l’idea di ricostruire quanto distrutto esattamente com’era. In questo modo si ricomporrebbe l’identità dell’edificio, dei luoghi circostanti e della memoria collettiva. Sarebbe un buon modo per dimenticare una brutta pagina di storia e tranquillizzare chi in architettura ha un atteggiamento conservatore…ma c’è un però grande quanto la cattedrale stessa.
Quello che è andato perso non era proprio un manufatto recente. Dall’inizio della sua creazione ad oggi si sono perse le foreste da cui arrivava la struttura lignea, si sono esaurite le cave da cui arrivava la parte lapidea, si sono perse le conoscenze tecniche e manuali con cui legno e pietra erano assemblate. Dunque per trovare materiali simili agli originali e per lavorarli nella stessa maniera servirebbe uno sforzo di ricerca e di formazione delle manovalanze che non sembra accordarsi con i tempi indicati per la ricostruzione: entro le Olimpiadi del 2024.
Quale sarebbe, inoltre, il risultato? La ricostruzione sarebbe realmente fedele all’originale o avrebbe la qualità di un brutto fake?
Pensare oltre
Poi c’è chi pensa oltre e così, nel dibattito tra nuovo e vecchio, tra progressisti e conservatori, si inserisce l’ipotesi di Concr3de. L’azienda olandese già specializzata nella realizzazione di architetture e design tramite la stampa 3D si propone di far letteralmente rinascere Notre-Dame dalle sue ceneri. Considerata la carenza dei materiali originali e delle loro tecniche di lavorazione, suggerisce di ovviare con la tecnologia 3D. Per Concr3de è possibile miscelare polveri e macerie in un composto stampabile che, a processo ultimato, avrebbe le stesse caratteristiche di quello di partenza. Combinando la stampa 3D con le scansioni esistenti delle varie parti della cattedrale sarebbe possibile replicare fedelmente in tempi brevi quanto distrutto, soprattutto per quanto riguarda la statuaria e tutto l’apparato decorativo lapideo. A sostegno della sua ipotesi Concr3de ha già riprodotto Le Stryge, uno dei gargoyle distrutto dalle fiamme.